Dall’opera robotica “Danguard Ace” (“Wakusei Robo Danguard Ace”) di Leiji Matsumoto, Bandai sforna l’ennesimo Soul of Chogokin, e sembra un ritorno al passato grazie alle caratteristiche di questo modello, ricco di accessori e completo del più classico degli stand, capace di raccoglierli tutti insieme, e alla quantità di metallo con cui è realizzato.
Ci si appresta quindi analizzare nel dettaglio pregi e difetti di questo attesissimo gokin (termine con cui si identificano le riproduzioni dei robot giapponesi realizzati, almeno in parte, in metallo).

La confezione è molto contenuta, anche nello spessore, e la grafica coglie in pieno la semplicità del design, mostrando le dovute illustrazioni su uno sfondo nero poco elaborato. Purtroppo si denota subito un difetto: nonostante le dimensioni ridotte non si riesce ad avere il senso di solidità e sicurezza che da sempre ha contraddistinto le confezioni Bandai, e questo a causa del fatto che, mentre sulla sinistra della scatola il polistirolo contenente il robot è quello di sempre, solido e resistente, sull’altro lato i blister che contengono parti e accessori non sono supportati da alcun pannello di cartone rinforzante, e questo genera una debolezza generale nella scatola, basterà infatti stringere più del dovuto la confezione dal lato sbagliato per ritrovarsi pieghe e crepe!

La copia oggetto della presente recensione soffre proprio questo problema, è visibile infatti sul lato posteriore una leggera increspatura del cartone. Sembra che in ogni caso tutto il contenuto sia sufficientemente protetto.

Estratto il robot, riparato dal contatto con il polistirolo da un filo di carta velina, che ha sostituito il classico sacchetto, ne possiamo subito apprezzare la solidità e il peso che trasmette, grazie alla percentuale di metallo presente e alle articolazioni ben salde. La zama (lega metallica utilizzata per la realizzazione dei gokin) è distribuita nel torace (tutta la parte grigio-chiara), nei bicipiti, nelle articolazioni delle anche, nelle cosce e nei piedi (comprese le pinne che si estraggono in modalità satellizzatore). Nota di demerito per le dimensioni che, purtroppo, rappresentano il vero difetto di questo modello: l’altezza è di poco superiore al classico GX-01R Mazinger Z, e, per quelle che sono le nozioni recepite nel tempo da tutti gli appassionati, è davvero riduttiva, poichè in teoria il robot originale dovrebbe essere tra i più grandi, quindi ci si sarebbe auspicato qualcosa di simile ai vari Daitarn, Godsigma, ad esempio, della stessa linea.

Per il resto la fedeltà delle proporzioni, del design e della colorazione, l’assenza totale di sbavature, e alcuni dettagli rendono questo gokin un vero gioiello, come si vede dalle foto che seguono.

I segni delle sprue (i punti di rottura tra i pezzi e le griglie originali) sono presenti, anche se non particolarmente fastidiosi, ad eccezione di quelli sulle alette della testa che risultano evidenti.

Sulla schiena, inizialmente priva di ali, è possibile agganciare queste ultime in configurazione aperta, semi-aperta oppure completamente richiusa con l’apposita parte accessoria.

Il casco è fornito in doppia versione: una ad uso esclusivo della versione in robot, e un’altra “apribile” che può essere inserita sul muso della versione satellizzatore; in entrambe le versioni è possibile in ogni caso piegare la cabina di comando per poter esporre la piccola navicella separata, aggiungendo la parte apposita che funge da corpo centrale, motore e dotata di carrello estraibile.

La posabilità è ottima: snodo a sfera sul collo, che può essere ruotato in tutte le direzioni, anche se il design ne limita lo spostamento su e giù; il busto permette una minima rotazione; le spalle offrono ampia movenza in tutte le direzioni, grazie alla giunzione estraibile; il gomito si piega ben oltre i 90 gradi grazie al doppio snodo, e può anche essere ruotato; i polsi hanno una discreta mobilità grazie al solito snodo a sfera, ulteriormente enfatizzato dal perno estraibile dall’avambraccio, realizzato per la trasformazione in “perfect change” (che non richiede rimozioni o sostituzioni di parti); le anche fanno si che le gambe si spostino in avanti e laterlamente con angoli piuttosto estesi, mentre offrono pochissimo movimento all’indietro, probabilmente per rendere più stabile la trasformazione; le ginocchia si piegano moltissimo, in egual misura dei gomiti, grazie alla parte a scomparsa sotto il retro del ginocchio; infine le caviglie, che possono essere estratte, offrono un’angolazione laterale addirittura esagerata, mentre lo scarto in avanti e all’indietro è minimo.

Tutte le articolazioni sono ad attrito,  ad eccezione di quella del ginocchio che è a scatto, e questo non è certamente un bene, anche se a primo impatto sembrerebbero comunque tutte molto resistenti, e lo dimostra il fatto che il robot può reggersi in piedi su una sola gamba senza difficoltà.

La dotazione delle coppie di mani ne comprende una con dita “snodate”.

La dotazione delle armi è ridotta ai minimi termini, e comprende in pratica la sola classica lancia ottenuta dalle parti rosse agganciate agli stinchi: questi possono essere sganciati realmente dal modello e, grazie ai manici a scomparsa, possono essere impugnati separatamente o in unica soluzione con la doppia punta semplicemente agganciandoli tra loro (perfect change). In alternativa la confezione comprende due ulteriori lance a parte che hanno le impugnature fisse e la lama rossa su entrambe le facciate.

Il petto si apre per mostrare il cannone balkan e nessun’altra arma o gimmick (arma o effetto tipico del personaggio realizzato per il modello) sono presenti nella confezione.

La traformazione in satellizzatore, aspetto determinante del modello e del robot stesso, che nei primi episodi appare solo sotto questa forma, è superbamente realizzata, e può essere eseguita in due differenti modalità: la prima, quella già mensionata, la perfect change, che consente di evitare qualsiasi attacca e stacca o di riporre via delle parti: si ottiene ripiegando gli avambracci sotto il busto e facendo entrare le mani dentro quest’ultimo, mentre il carrello spunta fuori dal petto (va sostituito con il cannone balkan); sarà necessario utilizzare il carrello aggiuntivo presente all’interno degli stinchi, poichè quello racchiuso nel petto non basta a reggere il peso delle gambe; questo dettaglio rende omaggio al vintage, come se già non bastasse l’altezza del robot!

Poco male, poichè per fortuna le parti opzionali in dotazione permettono una trasformazione non esattamente “perfect” ma più efficacie: gli avambracci si sganciano del tutto, una paratia si aggancia sotto il busto per chiudere il vuoto anti-estetico e un carrello ben più grande e solido (con parti in metallo) si sostituisce a quello racchiuso nel petto. Questo procedimento rende il satellizzatore esteticamente molto più d’impatto.

Completano il quadro le riproduzioni di due ulteriori navicelle viste nella serie animata: la navicella di addestramento che si scompone come avviene nel cartone e la testa del robot trasformata come già detto in precedenza.

Lo stand espositivo, immancabile, ricorda le vecchie produzioni più classiche, per eleganza e duttilità, e permette di esporre il modello nella versione che più si preferisce, ed è possibile alloggiare tutte le parti eccedenti, sfruttandone anche lo spazio sottostante.

In conclusione si tratta di un SOC di altri tempi, o almeno questa è la sensazione che si prova quando lo si maneggia, un pò per via del personaggio storico, un pò per la qualità di realizzazione, sia in termini di materiali utilizzati che per dettagli e rifiniture, nonchè per la solidità che trasmette.

Purtroppo le produzioni industriali di Bandai non lo lasciano esente da difetti, quali segni di sprue evidenti e piccole bolle sulle vernici, ma per fortuna niente di particolarmente eclatante.

Il paragone con il fratello maggiore della Yamato è inevitabile, anche perchè la partita è aperta a tutti i risultati: il Bandai è piccolo ma ben dettagliato e superbamente proporzionato, oltre che dotato di un ottimo stand espositivo, e il prezzo abbordabilissimo lo rende appetibile anche a chi vuole il doppio acquisto; lo Yamato è imponente (30 cm circa) e pesantissimo (quasi totalmente in metallo), ma la colorazione è molto semplicistica (paragonabile ad un giocattolo), ma soprattutto il prezzo ormai folle a cui viene venduto lo rende un oggetto per pochi.

In conclusione un gokin che non può mancare nelle vetrine degli appassionati della serie, ma neanche in quelle dei simpatizzanti di robot giapponesi.

Nome: Danguard Ace – Soul of Chogokin
Produzione: Bandai (Japan)
Scala: non in scala
Anno di pubblicazione: 2013 (Luglio)
Tiratura: Standard
Prezzo di listino: 12600 Yen

Pro:
– proporzioni perfette, uscito direttamente dalla tv;
– solido e pesante nonostante le dimensioni ridotte;
– ottimi dettag e posabilità;
– trasformazione “perfect change” o “perfetta”;
– costo contenuto.

Contro:
– dimensioni ridotte;
– alcuni segni di sprue e bolle nella verniciatura.

Voto Finale: 9/10