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Nel 2012 Mazinger Z ha compiuto il quarantesimo anno di vita e Bandai non ha perso l’occasione di produrre un nuovo modello extra-lusso: 30 cm (e oltre) di potenza espressi in un imponente Gokin, in omaggio al robot e all’immortale maestro Nagai. La linea DX è, secondo alcuni, la naturale evoluzione dei “Soul Of Chogokin” aggiungendo qualità e innovazione (ma probabilmente troppo costosa per diventare la vera erede).

Mazinger Z, va ribadito, è un’icona nel paese del sol levante, come da noi può essere Goldrake (Grendizer), ma in proporzioni di fama molto maggiori. Non c’è quindi da stupirsi se i modelli di “Mazinger Z” continuano ad essere riproposti in tutte le salse: recolor probabili o improponibili che siano, TWS (Esclusive Tamashii Web Shop) o standard…ce n’è per tutti i gusti!

Per i neofiti, ricordiamo che la serie è la capostipite della trilogia Mazinger Z/Great Mazinger/Grendizer e rappresenta un pezzo di storia fondamentale del panorama animato giapponese.

“Mazinger Z (Mazinga Z in Italia) è un enorme robot meccanico, pilotato da Koji Kabuto (Rio in italia) e costruito dal Prof. Juzo Kabuto utilizzando la super-lega Z, ottenuta dalla lavorazione del Japanium, un materiale che si trova solo alle pendici del monte Fuji, in Giappone. E’ un’arma di difesa, utilizzata per combattere le forze del male, rappresentate dall’armata dei mostri meccanici guidati dal Dr. Hell, andato fuori di testa all’epoca in cui aveva scoperto i resti di un’antica civiltà più antica dei greci, definita “l’impero dei Micenei”, all’avanguardia nel campo tecnologico, creatori di gigantesche creature radiocomandate, di cui il folle scenziato si impadronisce e che sfrutta al fine di sottomettere il mondo intero…”

Il resto è storia, che ci porta, dopo 40 anni, alla scoperta di questa nuova riproduzione del robot più famoso di tutti i tempi: il BANDAI DX MAZINGER Z.

Il package

La scatola è immensa: il brown box esterno misura circa 55X45X40, misure approssimative che danno l’idea della mastodontica grandezza del modello. All’interno troviamo la scatola vera e propria, che ha una “sovrascatola” removibile, come ogni deluxe edition che si rispetti.

La colorazione rispecchia quella del robot stesso, variegando dal rosso al nero e alternandosi tra le illustrazioni. Sulla facciata principale troviamo la foto del modello che immortala per metà lo scheletro interno e un primo piano della testa “integrale”; la faccia opposta ci mostra come al solito i vari modi in cui lo si può esporre mentre le facce laterali mostrano il marchio del prodotto. Al centro della testata risiede un comodo manico in plastica che ci permette di trasportare il valigione con facilità. All’interno varie scatole nero lucido molto eleganti contengono tutti i pezzi del robot e del diorama. Proprio così: questa volta la scatola di un gokin contiene anche le parti che compongono un diorama…e che diorama! Si tratta di un hangar in cui viene inserito il robot, con tanto di mezzi di servizio che lavorano alla riparazione/manutenzione dello stesso e dotato di faretti funzionanti.

Tornando alla confezione, le varie scatole, se pur lussuose, lasciano un po’ perplessi sia per gli spessori variabili delle singole, sia perché all’interno le parti del robot, scheletro compreso, alloggiano in blister di plastica (quindi niente polistirolo), con i rischi che ne conseguono, come le abrasioni.

Tre scatole contengono lo scheletro, le parti della corazza, il telecomando (per suoni e luci del robot), i mezzi di manutenzione; un’altra scatola senza coperchio contiene le istruzioni, un mini manga e una scatola molto più grande contiene l’hangar.

Nonostante i piccoli difetti sopra citati è però un piacere aprirle tutte ed estrarre i vari pezzi, anche se quello più importante, lo scheletro del robot, in tal senso delude un po’ al primo impatto per via della sua “leggerezza”, dovuta al ridotto quantitativo di metallo in esso contenuto.

Tirati fuori tutti i pezzi, possiamo scegliere in che modo esporre il nostro robottone: solo lo scheletro, con lo scheletro a vista solo in parte o se integralmente corazzato. Alcune delle parti rimanenti potranno essere alloggiate sulle pareti dell’hangar (solo alcune purtroppo…). Ma vediamo di fare un’analisi più approfondita.

Lo scheletro

E’ il cuore del gokin, la sua struttura portante e da solo fa quasi tutto il modello. E’ dettagliato in maniera sorprendente: nessun particolare è disegnato o dipinto, sono tutte parti in rilievo, molto ben definite e colorate. Il metallo è presente nella corazza posteriore della schiena e della vita, nell’articolazione della spalla, nelle anche e in parte del bacino. Tutto il resto dello scheletro è in plastica.

La faccia del robot è da agganciare a parte, proprio per poterne scegliere la configurazione: se solo scheletro, per metà corazzata o integralmente corazzata. Il collo è parte integrante di queste scelte, anch’esso infatti ha le tre parti opzionali.

Il petto è rimovibile e include il vano batterie (2XAAA), il sensore ricevente del telecomando e il pulsante on/off dell’impianto elettrico. Scelta davvero discutibile proprio questo switch, che costringe a rimuovere la corazza nel momento in cui si decide di spegnerlo, anche se di fatto non spegnerlo dovrebbe semplicemente mantenerlo in stand-by con un consumo minimo delle batterie.

Infine la zona anteriore del blocco è dotata di parti metalliche che consentono l’aggancio delle pettorine.

La zona della vita include il missile centrale che, anche se esteticamente molto appariscente, non appare come elemento di disturbo, anzi è posizionato proprio dove dovrebbe stare e rende esattamente l’idea di quello che è. Nota che lascia un po’ perplessi è la mancanza di una corazza che emuli il lancio del missile centrale, aperta solo nella zona preposta. Quindi se volessimo mostrarlo, siamo costretti ad esporlo almeno a metà vita scoperta.

Il bacino mostra l’articolazione delle anche, quella che permette la rotazione del busto e contiene una discreta quantità di metallo.

Le braccia mostrano i missili perforanti che nell’anime vengono sparati dal braccio una volta sganciato o sollevato l’avambraccio, mentre dai pugni si intravedono i sistemi meccanici a molla delle dita magistralmente realizzati, al punto da sembrare funzionanti.

Spostandoci sulle gambe, notiamo la realizzazione dell’articolazione del ginocchio, esteticamente una vera chicca e il sistema idraulico che gestisce il movimento delle caviglie; ottimo ma non sorprendente, già utilizzato ampiamente da Bandai nei suoi model kit, persino sui minuscoli Real Grade.

Naturalmente tutti i dettagli sono ispirati ai disegni originali, non dovrebbe esserci nulla di inventato per l’occasione. Abbiamo realizzato questa foto comparativa con i fotogrammi della sigla finale dell’anime per fare i dovuti paragoni

 

Le articolazioni

Prima ancora di montare la corazza sullo scheletro è possibile verificare tutte le possibili pose grazie al sistema di articolazioni che è stato realizzato senza che queste vengano minimamente compromesse dall’applicazione dei pannelli esterni, anche se si sottolinea il fatto che la posabilità non è comunque il pezzo forte del modello.

Partendo dalla testa, l’articolazione del collo è abbastanza limitata per via dello scheletro ed è tale e quale a quella dei primi SOC, ad esempio il GX-01R; per cui il collo si muove su e giù e ruota a destra e sinistra, niente ball joint, per semplificare.

Il busto può essere ruotato abbondantemente grazie ad una semplice articolazione ad attrito molto resistente. Nessuna inclinazione concessa lateralmente ne in avanti o indietro.

Le spalle, a scatto, permettono la rotazione del braccio a 360 gradi sull’asse e possono essere sollevate a 90 gradi rispetto al corpo, quindi piena libertà d’azione.

Il gomito, anch’esso ad attrito, può essere piegato oltre i 90 gradi, mentre la rotazione non è concessa, o almeno non proprio sul gomito; infatti è necessario ruotare il bicipite quando serve questo movimento. Questo è dovuto al modo in cui è stato concepito l’innesto dell’avambraccio sul bicipite, un po’ cervellotico e forse discutibile, ma tutto sommato accettabile: a causa della presenza dello scheletro infatti non era possibile lasciare ampio spazio per un aggancio “classico”, per cui gli ingegneri di Bandai hanno optato per una soluzione piuttosto particolare, in cui un piccolo perno centrale si innesta all’interno dell’avambraccio aiutato dalla pressione del gomito stesso, mentre delle guide sui bordi vanno allineate tra le parti; allo scatto avvenuto si rilascia il pulsante del gomito e una molla mette in trazione le parti. Non va ruotata la parte perché questo ne provoca lo sganciamento. All’inizio è un piccolo rompicapo ma tutto sommato funziona.

Il polso ha un aggancio a sfera classico che permette una discreta mobilità del pugno, anche se forse il perno è leggermente troppo grande rispetto al foro delle mani, rendendo un po’ troppo impegnativo l’innesto dei pugni e troppo dura l’articolazione. Questo ricorda una recente produzione di un’altra casa produttrice, ma con la differenza che in questo caso il perno in questione ha ben altra robustezza.

Due coppie di mani, una a pugno chiuso e una a mano aperta, quest’ultima dotata di dita articolate, ognuna in 2 punti a sfera. L’esperienza Bandai in questo senso non è esaltante, poiché questo tipo di articolazioni, viste nei model kit, soffrono di allentamento precoce, quindi meglio non muoverle troppo.

Le anche, a scatto, permettono alle gambe di essere spostate in avanti e indietro e possono essere allargate; quest’ultimo movimento è piuttosto limitato, poiché permette due sole posizioni. E’ possibile effettuare anche una lieve rotazione sull’asse della coscia e sono comunque molto robuste, come è giusto che sia, dato che sopportano il peso del busto intero e mantengono stabile il robot.

L’articolazione del ginocchio, anch’essa a scatto, sfoggia una realizzazione estetica superba, sia frontalmente che posteriormente e consente una mobilità accettabile, anche se lontana dalle produzioni dei più recenti SOC (GX-45 ad esempio).

Infine le caviglie ruotano a 360 gradi in maniera egregia e il sistema idraulico riprodotto ne segue perfettamente il movimento. Per evitare disastri non è possibile piegare i piedi verso l’alto, e questo per quanto sia limitante sulla posabilità, evita che il robot possa cadere in avanti.

In definitiva si può benissimo paragonare la posabilità generale a quella dei vecchi SOC, come ad esempio il già citato GX-01R, qunidi niente di particolarmente eccelso, ma è evidente che non è questo lo scopo di questo gokin.

La corazza

Iniziando dalla testa (in plastica) ne troviamo tre versioni: una completamente scoperta, una corazzata a metà e una interamente corazzata, che riproduce l’aspetto tradizionale di Mazinger Z. La realizzazione è certosina e impeccabile per tutte le varianti, a parte l’aggancio allo scheletro alquanto precario. Infatti ad ogni cambio di posizione della testa segue un quasi certo distacco del volto…sicuramente una disattenzione della casa produttrice. Da segnalare inoltre, almeno nella copia recensita, l’imperfetto allineamento delle parti che ne penalizza l’estetica. Gli occhi sono trasparenti per tutti e tre i volti, per cui se ne può apprezzare l’illuminazione in ogni configurazione.

Il petto e il bacino sono interamente in metallo, magistralmente lucidati, come non si era ancora visto in nessun SOC. Si incastrano alla perfezione e non si trovano difetti di sorta. Nulla da dire, praticamente perfetti.

Il pannello che copre la vita è in plastica e, ribadiamo, ne manca una versione che riproduca l’apertura del portellone per il lancio del missile centrale, visibile solo a scheletro scoperto, quindi almeno con mezza corazza rimossa. Anche questo comunque si aggancia perfettamente senza difficoltà.

Cosce, stinchi e piedi sono interamente in metallo, anche questi praticamente perfetti, a parte lievi abrasioni presenti in molte copie, dovute probabilmente al package in blister invece che polistirolo. Ancora una volta agganci ineccepibili anche per queste parti.

I pannelli delle spalle, bicipiti, avambracci e pugni, infine, sono in plastica, ma anche questi fanno il loro egregio lavoro, a parte il bicipite stranamente ostico per via di un eccessivo attrito, sia in fase di aggancio che in fase di sganciamento.

Tutti le parti della corazza presentano zone scolpite anche ll’interno, che simulano ulteriori pannelli, per quanto questo dettaglio sia tutto sommato quasi irrilevante.

Infine, il robot guadagna il peso necessario quando indossa interamente l’armatura, guadagnandosi a pieno diritto il titolo di gokin.

Le pettorine vengono fornite in doppia coppia, una rosso pieno tradizionale e una traslucida, che permette di essere illuminata per simulare il breast fire. Si agganciano proprio come avviene per i SOC tramite un magnete.

Ricordiamo che la posabilità, benchè non estrema, non viene minimamente intaccata dalla presenza dell’armatura, che sia essa parziale o integrale.

L’hangar

Il diorama occupa la gran parte dello spazio all’interno della confezione e non solo: fate spazio in vetrina altrimenti dovrete lasciarlo in scatola!

La plastica è precolorata e di qualità discutibile. Nonostante la realizzazione non sia di alto livello, il risultato finale è veramente d’impatto. Il dettaglio interno è accettabile, con scanalature e particolari tipici delle strutture di questo tipo, e consente di appendere le parti della corazza non utilizzate…o quasi. Infatti non tutte le parti hanno lo spazio apposito e saremo quindi costretti a riporre qualche pezzo altrove.

Due faretti alla base possono essere attivati per illuminare il robot inserito all’interno in maniera molto pittoresca; un effetto davvero interessante.

Delle rampe pieghevoli permettono di racchiudere il robot all’interno dell’area di manutenzione, mentre i portelli laterali possono essere chiusi per proteggere il tutto. Una staffa centrale può essere agganciata alla schiena del Mazinger per assicurarlo da spiacevoli cadute in eventuali fasi di spostamento (in condizioni statiche, il robot è molto stabile e non occorre nessun fermo di sicurezza).

Sulla base frontale può essere applicata la targa in metallo recante il nome di Mazinger Z.

Infine due mezzi per la manutenzione sono stati inclusi. Su questi c’è ben poco da dire: sono delle semplici grù, una agganciata ad un rimorchio e l’altra montata su uno dei pilastri dell’hangar. Tuttavia sono perfettamente in scala con il modello, rendendo il diorama ancor più realistico.

L’impianto elettrico

Abbiamo già accennato alla possibilità di sganciare l’interno del petto, cuore della struttura elettrica che permette la riproduzione di luci e suoni direttamente dal corpo del nostro robot. E’ necessario toglierlo per accedere al vano batterie (2XAAA) e, lo ripetiamo, è necessario smontare la corazza per attivare il tasto on/off che è posto al centro del petto.

Gli effetti si possono attivare dal telecomando in dotazione che è fornito di 6 tasti che, combinandoli in coppie, fanno si che venga eseguito uno degli effetti desiderati. Ad esempio la fase di agganciamento dell’ “hover pilder” in cui si sente la voce (rigorosamente in giapponese) che ne urla le fasi, seguita dal rumore dell’innesto e dall’illuminazione degli occhi; o come ad esempio l’esecuzione del “breast fire” che fa sì che dopo l’ennesimo grido si accendano le pettorine (in questo caso è necessario utilizzare quelle trasparenti), e così via.

Il telecomando necessita di 2 pile AAA. Infine i faretti dell’hangar richiedono ben 3 pile AAA e, particolare peggiore, vanno attivati dallo switch precedentemente citato che si trova proprio sulla zona posteriore del diorama, particolarmente difficile da raggiungere, dato che molti avranno la mensola già occlusa dalle dimensioni dell’hangar stesso.

Abbiamo prodotto un video per mostrarvi luci e suoni del Mazinger Z:

L’Hover Pilder e il contenuto cartaceo

La navetta di pilotaggio è ottimamente realizzata con la calotta finalmente trasparente che mostra Koji all’interno. Inoltre le ali sono ripiegabili come da tradizione, e il dettaglio discreto.

Sono inoltre inclusi il manuale, un libretto che parla di alcune realizzazioni del Mazinger Z e un mini manga. Inoltre troviamo il volantino pubblicitario del Jet Scrander, che verrà pubblicato a parte, come TWS (Tamashii Web Shop) a breve.

In conclusione

Si tratta del Mazinger definitivo? Non del tutto. Probabilmente non sarà mai realizzato quello definitivo. Semplicemente potrebbe esserlo per alcuni, ma non per altri. Il modello è spettacolare alla vista, possente e maestoso e al tatto pesante quanto basta, soprattutto se indossa l’armatura. I dettagli sono impressionanti e ben realizzati e la colorazione è praticamente perfetta.

Il sistema elettrico poteva essere migliore se il telecomando avesse potuto attivare da solo l’intero sistema. Invece ci ritroviamo 3 switch, uno sul telecomando, uno sul robot (scomodissimo da raggiungere) e uno sull’hangar (in una posizione davvero improbabile…). Un vero peccato, ulteriormente aggravato dai volumi troppo bassi e alquanto discutibili. Il sistema di aggancio del gomito resta un rompicapo, oltretutto delicato; altro punto a sfavore.

Tuttavia l’effetto visivo è spettacolare, lo sculpt e le proporzioni sono a dir poco perfette e la realizzazione certosina dello scheletro è eccellente. Il modello è estremamente fedele e sembra essere uscito direttamente dalla TV. Forse il vero difetto di questo gokin è il prezzo, davvero eccessivo per quello che offre. Siamo comunque sicuri che gli appassionati rimarranno più che soddisfatti, perché questo robot E’ MAZINGER Z.

Nome: Mazinger Z – DX
Produzione: Bandai (Japan)
Scala: non in scala
Anno di pubblicazione: 2012
Tiratura: Standard
Prezzo di listino: 36750 yen

 Pro:
– Sculpt e proporzioni perfetti
– Scheletro interno spettacolare
– Peso discreto se interamente corazzato
– Illuminazione del diorama d’effetto

Contro:
– Alcuni agganciamenti sono discutibili, gomito in primis, ma anche la testa
– Troppi switch on/off
– Volume degli effetti sonori troppo basso
– Hangar ingombrante e mancanza di supporti per appendere tutti i pezzi della corazza
– Prezzo

 Voto finale: 8.5/10